Alpi, Piemonte… ed altro: in volo da Torino verso Barcellona, 12.12.2016
Questa mattina non prometteva bene. Una nebbia fitta copriva Torino. Nell’aeroporto alcuni voli, incluso il mio, prevedevano ritardo. Ma non a causa della nebbia. Poi l’aereo è partito e, contrariamente al solito, si è diretto verso l’imbocco della Val d’Aosta, sopra il Canavese. La coltre di nebbia copre la pianura e lascia vedere solo, emergente, la cima della collina di Masino. Ma a pie’ di monte la luce risplende di chiarore e le serre moreniche dell’anfiteatro glaciale della Dora manifestano la loro bellezza, a questa altezza media, tenera e domestica. Questo paesaggio, con la sua superba armonia geografica e con la sua coerenza geometrica, è diventato per me, straniero di altopiano, un paesaggio dell’anima. Vederlo a volo d’aquila scatena in me l’involontario gioco dell’emozione. Poi l’aereo vira in cerchio e si infila verso le Langhe sorvolando Torino. Il centro città appare schiarito, ma il resto è coperto e, come in un’immagine di fantascienza urbana, il grattacielo della Regione emerge dalla nebbia. Dal finestrino dell’aereo, adesso, la catena delle Alpi innevata appare in tutta la sua luminosa imponenza. Verso ovest le vette del Monte Rosa, il Lyskamm, il Castore, il Polluce… solidali in un robusto abbraccio. Alla loro sinistra, come in una panoramica, la piramide egocentrica del Cervino, supponente nella sua inconfondibile identità con la sua grande parete verticale senza neve e ammantata di un colore grigio-blu. Poi lo sguardo spazia verso lo sterminato massiccio del Monte Bianco e si sofferma sulle Grandes Jorasses e sulle cime indistinte del monte principale, questo grande gigante in mezzo a giganti, e poi, immaginando la Dora che scende lieve e ghiacciata verso la valle che fu del Grande Ghiacciaio, lo sguardo risale alla vista delle montagne del Gran Paradiso: per me, poco esperto di Alpi, non sono le cime che si affacciano sul lago di Ceresole o la stessa cima del Gran Paradiso i segni di identità del grande massiccio, bensì quel perfetto gianduiotto tra di loro che adesso appare come in una favola coperto dallo zucchero a velo della neve fresca. Per quanto abbia fatto questo volo molte volte e molte volte visto queste montagne, oggi, chissà se per effetto della nebbia, della luce, del cuore o d’altro, hanno su di me un effetto speciale. Adesso ho di fronte le montagne della Val di Lanzo, cariche per me di emozioni: anni fa ci perdemmo nella notte cercando, imprudenti, a fine settembre, il rifugio Gastaldi sotto alla Ciamarella. Adesso si prospetta la grande spaccatura della Val di Susa e non so se quello che sto vedendo è o non è il Rocciamelone. Ed ecco qui, sotto, alla mia destra, il grande anfiteatro del Monviso. La nebbia fa emergere ancora la collina di Cavour ma, a pie’ di monte, è pulito e vedo il grande Po, ancora piccolo, indeciso e dalle acque verde-grigio, scorrere quasi dal Pian del Re fino a che la nebbia lo occulta. Qui, ora, sotto, c’è il Monviso: la montagna magica delle Alpi, la più carica di simboli, forse la più bella, quella che tante volte ho visto dall’alto, e dal basso, dalle strade che vanno verso Saluzzo o Pinerolo, o dalla Torre Civica di Saluzzo, o da dietro la chiesa di San Maurizio a Pinerolo, dall’Astigiano o dal Mombarone. Eccola qua. Eccola qua. Ma adesso lo sguardo spazia fino ai contrafforti di Grenoble, sorvolando i Parchi Nazionali e io torno con la mente all’aeroporto…
C’è ritardo e quando c’è ritardo si legge o si osservano le cose e la gente. Oggi preferisco osservare. C’è questa ragazza alta, formosa e bellissima, decisa e sicura di sè che, col bimbo lattante e passeggino al seguito, ha passato il controllo davanti a me. Tacchi alti, la chioma nera e ondeggiante; i jeans attillati e con molti strappi lasciano vedere la pelle morbida e bruna. E’ pura, intelligente carnalità. E lo sa. Poi, mentre guardo i vini, una ragazza piccola, bionda e dolce mi offre un assaggio. “E’ un vino speciale, un po’ simile all’Amarone”, mi dice, “è di Masi, una cantina molto buona di Verona, e ce l’abbiamo in promozione…”. Lo assaggio e fa onore al suo nome, “Nectare”: corposo, denso, vinoso, caldo e sensuale, è ricco di zuccheri ben vinificati, sa di frutti maturi… Parliamo di vini. E’ molto brava: sa quello che vende. Poi mi siedo. Accanto a me un uomo anziano legge La Stampa (o forse Repubblica). Sbircio. Il passato che torna: Gentiloni, totoministri, lotte nella casta… lascio stare. La bella ragazza carnale siede di fronte a me, rilassata ma composta. E’, sì, bella e forte. Armeggia col bimbo, le borse, il biberon… un uomo si avvicina e la aiuta premuroso. Credevo che fosse sola. Ma sì, è sola. Lei ringrazia e l’uomo le si siede accanto. Avrei pensato che fossero una coppia. Tra i trenta e i quaranta come lei. Alto, forte, la testa rasata, vissuto, notturno, sessuale… Adesso sono nella coda d’imbarco. Ci fanno aspettare. Davanti a me un uomo forse vicino ai quaranta si guarda intorno. Anche lui è alto, forte, la testa rasata, un tatuaggio sul collo taurino, jeans e maglietta. Guarda ogni tanto in una direzione. Uno sguardo preciso. Da contatto visuale. Da corteggiamento. Mi giro. C’è risposta. Risponde discreto, girandosi ogni tanto, depistando, l’uomo che ha aiutato la ragazza. Poi mi distraggo. Guardo altro. Poi uno di loro armeggia col telefono. Sorride. Anche l’altro sorride. Forse c’è di mezzo una app di speed dating. Forse no. Quando il serpentone avanza e loro si incrociano si salutano. Si presentano. Ridono. Io sono davanti. Si aspettano. Come bambini si accompagnano ai loro posti, anche se sono lontani, finchè la hostess chiede di sedersi. Sono loquaci e felici. Si vede. All’arrivo si perdono, insieme, tra la folla…
Paco domene