Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta che l’architetto Enrico Giacopelli ha inoltrato al sindaco Sertoli in merito alla questione Coop a Ivrea
molti hanno già espresso il loro dissenso in merito all’inopportunità di trasformare Ivrea in una piattaforma commerciale ad uso e consumo della grande distribuzione e hanno già descritto efficacemente il danno definitivo che l’apertura dell’Ipercoop provocherebbe al già labile tessuto commerciale di vicinato del centro storico.
Mi permetto perciò di entrare in questo dibattito proponendole un punto di vista che forse non è stato fin’ora efficacemente esplorato.
Lo spunto mi deriva dall’aver visionato qualcuno dei disegni del progetto del supermercato che circolano in questi giorni. In quei disegni si intravvede infatti nitida una scritta che riporta il motto della candidatura Unesco. Niente di strano, visto che siamo di fronte alla stazione e a due passi da via Jervis. Molto strana, anzi direi fastidiosa se non addirittura offensiva, è invece la scoperta della concessione ad un centro commerciale di appropriarsi di tale motto invece di prevederne l’orgogliosa esposizione – come dovrebbe essere e spesso accade – in un luogo pubblico di prestigio.
Fastidio e offesa che si accentuano quando lo sguardo si sposta sull’edificio alle spalle della scritta: niente più di un becero capannone di cui non si sentiva proprio il bisogno, tanto meno in quella parte di centro città posta all’interno della “buffer zone” sui margini del “core” della città olivettiana.
Un edificio sideralmente lontano dalla qualità architettonica che pervade gli edifici olivettiani che sorgono a due passi; un banale esempio di edilizia commerciale indegno del ruolo di portabandiera dell’Unesco.
Che la mediocrità formale (e la aggressività sociale) di quell’edificio cerchino riscatto dietro ad un valore culturale al quale non potranno mai essere associati, rende decisamente sospetto l’uso che Ivrea sembra voler fare del titolo di città Unesco, svilendolo a sottotitolo spendibile per qualsiasi operazione, foss’anche la più beceramente commerciale e antitetica rispetto ai principi della città olivettiana.
Quel titolo, come lei sa, è stato conquistato anche con la promessa di fare tesoro del pensiero olivettiano e della tradizione industriale e architettonica ad esso collegato, i cui principi cardine stanno nei due termini: bellezza e progettualità.
Lei signor sindaco – che di Adriano Olivetti, sindaco nel 1956, è collega e che ha ereditato (mi sembra con orgoglio) l’onere di dare senso all’iscrizione di Ivrea al catalogo dei Beni Patrimonio dell’Umanità – provi ad applicare questi due principi al caso dell’Ipercoop. Pretenda perciò bellezza a chi intende intervenire nella città che ha insegnato la bellezza al mondo per un secolo. La bellezza è difficile da produrre, richiede sforzo, sacrificio e applicazione di intelligenza per essere raggiunta: ma discrimina fra chi vuole investire sul suo territorio perche lo ama e lo rispetta e chi lo interpreta solo come terreno di rapina.
E affronti la gestione di questa vicenda con lungimiranza e progettualità: le apparirà chiaro che non sarà un ennesimo supermercato a richiamare i nostri figli che scappano da Ivrea, a consolidare le basi per una crescita sociale della città, a riattivare la circolazione dei capitali che giacciono inerti nelle banche cittadine, a arrestare il processo di marginalizzazione economica e politica di Ivrea all’interno della sua regione e della città Metropolitana.
Non è un compito facile trovare le alternative e personalmente non la invidio e non saprei fare meglio di quanto farà lei. So però, per esperienza professionale, che la scelta della svendita della città alla grande distribuzione è una scelta facile praticata con dissennata abbondanza in città anche più grandi della sua (il caso di Torino è emblematico). So anche però che è una mela avvelenata che nel breve produce consumo inutile di spazio, aumento di traffico e alla lunga, dopo aver contribuito a calmierare i prezzi al consumo, li comprime fino a espellere dal mercato la concorrenza più debole sterilizzando il tessuto vivo della città e drenando ricchezza che non verrà mai reinvestita sul territorio di elezione.
Il che è esattamente il contrario di ciò che insegna l’esperienza olivettiana e di ciò che ha permesso la costruzione e la prosperità di quella “Ivrea, città industriale del XX secolo” che oggi l’Unesco ha innalzato a valore universale.
Cordiali saluti
Enrico Giacopelli