Spunti e pensieri del filosofo Gianni Vattimo emersi durante la presentazione del suo nuovo libro “Essere e dintorni” tenutasi sabato 27 ottobre alla libreria Mondadori d’Ivrea
«E’ morto lo spirito critico della filosofia?», si interroga Gianni Vattimo, filosofo ermeneutico torinese, in apertura dell’incontro per la presentazione dell’ultimo libro Esseri e dintorni, svoltosi sabato scorso presso la Libreria Mondadori di Ivrea. «Non lo so, eppure negli ultimi venticinque anni la filosofia ha sorprendentemente smarrito l’impegno verso l’attualità, il moto d’intervento sempre avuto, potendo così assistere ad una progressiva eclissi della cultura umanistica. Medesima sorte toccata alla branca dell’ermeneutica, sostituita dalla filosofia analitica nell’intento di declassare l’arte filosofica ad un sapere comune, ricercandone integrazione e continuità in rapporto ad altri ambiti. La metafisica hegeliana incarna il pensiero oggettivo dell’essere, concetto ultimamente rafforzatosi con l’avvento del Neopositivismo, l’importanza delle scienze cognitive è stata recentemente rafforzata dalla presenza della tecnica; e oltre?» Sospira profondamente, l’oltre?
«L’oltre è pensiero critico, etica, senso dell’esistenza, vale-la-pena-di?»
Essere e dintorni nasce con l’intento di salvare Heidegger, filosofo tedesco precettore di detto pensiero, dell’oltre; la sua importanza risiede nell’aver sottolineato i tratti dell’essere al di là della sua oggettività, ponendolo come tempo, luogo di accadimento della storia. Heidegger individua aperture storiche all’interno delle quali si costruiscono temporalità, corrispondenti a epoche dell’essere, le scienze sono appunto situate in esse.
«E allora Professore crede all’assolutezza della scienza?»
«Sì, ma entro il mio periodo storico-ontologico, fino a prova contraria», ribatte scherzosamente. Il libro è diviso secondo uno schema tripartito che tocca rispettivamente filosofia, politica e religione.
La prima sezione contiene la polemica contro il Neopositivismo: la filosofia non può evitare il radicamento nella storicità, mentre esso se ne distacca. Seguendo le linee del pensatore tedesco anche Vattimo afferma che la filosofia debba cogliere l’essere nelle sue aperture storiche.
Passando alla politica, il filosofare tale non può essere se non un filosofare proprio della democrazia. L’ermeneutica è interpretazione, e in politica, chi crede di possedere la verità opinando la realtà dei fatti, paradossalmente, può fare bello o brutto tempo.
Per quanto concerne la religione, Heidegger può essere preso sul serio solo se interpretato in chiave cristiana, “Solo un Dio ci può salvare”, scrive, e Vattimo rispecchia la sua filosofia intera in quelle parole. Non ripone più grande fiducia nella politica odierna, e nemmeno nella propria forza politica.
Chi fa la rivoluzione oggi? Nessuno. L’unica possibilità di rivoluzione è religiosa, la redenzione dell’anima. Se Heidegger distingue il vero dall’oggetto, allora occorre prendere alla lettera le sacre scritture? Deve la verità cristiana confrontarsi con la realtà quotidiana dei fatti?
La risposta è no, segnando il passaggio da una filosofia oggettiva a una tipologia non più letteralista, allegorica, da cui trarne insegnamento. Il realismo che ci viene predicato con tanta veemenza e fermezza, riflette il Professore, è illusorio, limitatorio; argutamente cita un famoso motto del sessantotto francese: ‘Siate realisti, chiedete l’impossibile’.
Durante l’avvento della seconda guerra mondiale il pensiero del filosofo tedesco subisce tuttavia una leggera transizione: l’accadimento dell’essere viene ora identificato con il linguaggio. Ciò comporta la venuta in primo piano della soggettività umana, la linea della modernità, la messa in luce della chiusura del singolo individuo in relazione all’alterità, ideologia fortemente consolidatasi con la contemporaneità.
Conservare Heidegger significa appunto preservare la tensione dell’essere verso la non identificazione con gli enti, eppure le cose giungono all’essere stesso, che ad esse si apre. L’esistenza è un progetto, ciò che conta è quello che ancora non si è compiuto, si esiste perché non appagati della modalità del proprio esistere, credere a ciò significa essere vivi! Tuttavia se il tutto viene precalcolato, se la quotidianità altro non è che riproduzione razionale di ciò che esiste, che ne è dell’anima in questo grigio scenario? Cosa cederà l’uomo in cambio dell’anima? E allora manteniamoci nei dintorni dell’essere, non pretendiamo di afferrarlo, calcolarlo, comprarlo.
Uno studio approfondito sull’essere e identità odierna, un invito ad addentrarsi nel folto dello spirito critico, della riflessione, e dimenticare per un attimo la leggerezza della tecnica. D’altronde chi è davvero libero nella superficialità?
Annalisa Mecchia