Il presidio del 13 novembre sotto il carcere di Ivrea dopo gli episodi di violenza
”Cattivi esempi” avevamo intitolato, nello scorso numero del giornale, l’articolo su quanto avvenuto nella notte tra il 24 e del 25 ottobre nel carcere di Ivrea. I pestaggi perpetrati da alcuni agenti penitenziari ai danni di quattro ragazzi detenuti (e dei quali si è venuti a conoscenza soltanto grazie a una lettera, scritta da un detenuto e pubblicata sul sito Infoaut) non hanno nulla a che vedere, ci sembra, con la funzione di rieducazione o, meglio, di educazione, che dovrebbe essere il primo degli obiettivi di una struttura di detenzione.
L’episodio ha invece portato alla luce la situazione di sofferenza e di degrado in cui versa la struttura carceraria e l’assoluta distanza, non certo in termini chilometrici, che la separa dalla città che non è assolutamente a conoscenza di quanto avviene dentro il carcere.
Invece domenica 13 oltre un centinaio di persone si sono ritrovate in una delle strade laterali che costeggia la struttura e hanno infranto, se pure qualche ora, quel muro che separa chi è privato del bene più prezioso da tutti gli altri.
Per la maggior parte giovani, ma non solo, per la maggior parte provenienti da Centri Sociali, ma non solo, hanno aperto striscioni, trasmesso musica, letto pagine, mandato parole, cercato un contatto, un filo. Teso una mano. Si sono resi presenti e, soprattutto, hanno riconosciuto, dall’altra parte, una presenza, fatta di nomi, cognomi, paesi di origine, età, storie.
Nicoletta Dosio, attivista Notav in val di Susa (“dove la militarizzazione vorrebbe ridurre in schiavitù anche la natura”) nel suo intervento ha parlato di diritti, anche per chi è rinchiuso in un luogo dove per l’ennesima volta si perpetua il gioco di ruolo tra oppressi e oppressori . “Solo quando capiremo che quando ci alzeremo in piedi tutti insieme potremmo farcela – ha concluso – sarà davvero l’inizio della liberazione”. Mancava, manca, il resto del mondo. Chi nel carcere ci lavora, chi entra in qualità di insegnante o di educatore o di volontario, chi rappresenta il Comune.
Mancavano i vicini di casa. I cittadini, gli studenti, le associazioni, i collettivi, la cui assenza (indifferenza?) a un episodio come quello successo qualche settimana fa è indice della necessità forte di un momento di conoscenza di quella realtà. Di un’iniziativa cittadina dove di carcere si parli, si chieda, si ragioni.
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