La prima giornata del Paesaggio è un’occasione per cercare di fare il punto sulla situazione del nostro territorio. Ne parliamo con Diego Corradin, dell’Osservatorio del Paesaggio AMI
Il 14 Marzo è stata celebrata la prima giornata nazionale del Paesaggio, una ricorrenza che si terrà in data fissa ogni anno di qui in avanti e che è stata istituita dal Ministero dei Beni e delle attività culturali e del Turismo assieme all’Osservatorio nazionale del Paesaggio. Su tutto il territorio italiano si sono svolte iniziative mirate ad una riflessione e approfondimento sui temi della conoscenza, salvaguardia e valorizzazione del paesaggio.
Anche il nostro territorio ha deciso di partecipare a questa giornata: l’Osservatorio del Biellese beni culturali e paesaggio, insieme all’Osservatorio del paesaggio per l’Anfiteatro morenico d’Ivrea, si sono proposti alla scuola primaria di Andrate con un’iniziativa didattica rivolta all’osservazione e alla conoscenza del paesaggio quale frutto di una lunga interazione tra i processi evolutivi della natura e azioni dell’operato umano.
Partendo dal presupposto che non si apprezza ciò che non si conosce, tramite l’osservazione dei luoghi di vita quotidiana (spesso inconsapevolmente percepiti) sarà possibile per i giovani interessati, scoprire e acquisire l’unicità del paesaggio che li circonda e riconoscere valori e disvalori dell’operato umano.
L’iniziativa già sperimentata in altre realtà scolastiche, si propone di pervenire attraverso la percezione collettiva e la successiva restituzione con nuovi strumenti di rappresentazione noti come “mappe di comunità“ del patrimonio naturale e culturale dei luoghi di appartenenza ed al fine di accrescere in tal modo il sentimento d’identità locale.
Abbiamo parlato con Diego Corradin, dell’Osservatorio del Paesaggio AMI della situazione generale del nostro territorio.
Se si dovesse esprimere un giudizio sull’attuale stato dell’Anfiteatro Morenico d’Ivrea, cosa si potrebbe dire?
Dare una risposta sullo stato di salute del territorio non è semplice. Quando si parla di paesaggio c’è in ballo la salute psicofisica, la qualità e la prospettiva di vita dei suoi abitanti. Assistiamo oggi, quasi impotenti, a progetti che vengono calati dall’alto senza che attorno vi sia una reale partecipazione della comunità, la cui realizzazione provoca, talvolta, danni irreparabili. L’abbiamo visto con il viadotto Marchetti, che ha segnato per sempre il paesaggio dell’anfiteatro, ma allo stesso modo subiamo ed al contempo siamo artefici dello stato di marginalità dei territtori montani, dello stato di abbandono dei centri storici dei piccoli paesi, della progressiva disarticolata espansione urbana, per non parlare poi dell’uso improprio dei terreni agricoli o delle pratiche di coltivazione.
Come in altre realtà territoriali, credo che si sia perso il senso del profondo significato del bene comune, del sentirsi comunità che riconosce nel territorio o meglio nel proprio paesaggio, nella più ampia accezione del termine, quello spazio fisico in cui elaborare un progetto di futuro sostenibile.
A questa direzione univoca dall’alto al basso, mi pare di capire, si deve contrapporre una visione partecipata dal basso. I comuni possono giocare un ruolo in tutto questo?
Negli anni sono stati introdotti dall’ex provicia di Torino alcuni limiti al processo di espansione urbana; il consumo di suolo è stato contenuto in parte per le diposizioni del Piano Territoriale di Coordinamento (PTC) ed in parte per gli effetti depressivi del momento economico.
Tuttavia ancora molto si deve fare, e mai come in questo momento si avverte la mancanza una visione strategica credibile.
La buona qualità del governo di un territorio dipende da istituzioni che siano riconosciute quali enti che operano per la collettività e che favoriscano la partecipazione ai processi decisionali.
I comuni possono giocare una partita importante, nel riconoscimento del ruolo della popolazione, ma sarà necessario pervenire al superamento della difesa del “campanile” spesso sostenuta da interessi di basso profilo.
I piani regolatori comunali non hanno più senso qualora ricondotti a logiche funzionalistiche locali,
per effetto delle quali i cittadini abitano senza vivere; percorrono decine di chilometri in auto per comprare un paio di scarpe.
Una nuova stagione potrà aprirsi qualora si perverrà ad una visione umanistica della pianificazione attraverso processi inclusivi e partecipati in cui ci si interrogherà sui reali bisogni e si terrà conto dell’eticità degli interventi; le trasformazioni sono necessarie, ma spesso generano inevitabili squilibri che preventivamente devono trovare nella perequazione territoriale uno strumento di eque condizioni di risarcimento.
Per alimentare la partecipazione dal basso avete organizzato questa prima giornata con la scuola di Andrate. Ripeterete l’esperienza l’anno prossimo o prima?
L’iniziativa ha raccolto curiosità e interesse. Ci auguriamo, il prossimo anno, di poter realizzare qualcosa di più allargato, impegnandoci per far passare il concetto di Paesaggio come declinato dalla Convenzione Europea del Paesaggio nell’intento di accrescere attraverso la conoscenza dei propri luoghi di vita, una coscienza di rispetto e di tutela del bene comune.
Andrea Bertolino